sabato 25 maggio 2013

Bologna - Stuttgard


Sono seduto su una di quelle scomodissime sedie in metallo dell’aeroporto di Bologna. Sì e no ho una mezz’ora di attesa prima dell’imbarco. Metà la trascorrerò leggendo qualcosa e l’altra metà, se non resisto alla tortura della sedia, facendo due passi qui attorno. Magari mi concederò l’ultimo caffè degno di questo nome prima di salire a bordo.

Mentre sono preso dai fatti miei sento uno dei tanti annunci che dice: “Il signor Mariani è pregato di recarsi al gate 14 per l’imbarco del volo per Stuttgard”.

Guardo l’orologio nel dubbio che si sia fermato. No. La lancetta dei secondi gira. Ricontrollo la carta d’imbarco. L’orario va bene, non sono in ritardo.

Non mi resta che andare al gate per vedere se il tizio che cercano sono io o un omonimo. Mi avvicino e trovo le due hostess in piedi, da sole, come se avessero già imbarcato tutti.

“Mi spiace” dico “non pensavo di essere in ritardo.”

“No, stia tranquillo non è in ritardo: lei è l’unico passeggero di questo volo per cui abbiamo pensato di chiamarla prima per chiudere il gate.”

“Ho capito.”

Così mi tocca un volo presidenziale. Un aereo da un sessanta posti buoni tutto per me. Sull’autobus sono da solo. Da solo salgo la rampa delle scale, senza persone di fronte che mi bloccano e nemmeno che mi spintonano alle spalle. All’ingresso dell’aereo l’hostess di bordo può giocarsi quotidiani, riviste, salviette, prosecco, insomma tutta la cordialità di cui è capace con l’unico passeggero della giornata: me.

“Si sieda pure dove vuole” mi dice. Facile viaggiare così.

Mentre l’aereo fa le manovre per raggiungere la pista l’hostess come da protocollo è obbligata a dirmi la solita ramanzina della procedura di sicurezza. Si appoggia a un sedile della fila di fianco, davanti a me. Accavalla le gambe e mi dice come allacciare slacciare la cintura, come armeggiare con la maschera dell’ossigeno – che non ho mai visto – come mettermi il giubbotto di salvataggio in caso di ammaraggio (da Bologna a Stuttgard al massimo passiamo sul lago di Garda, nemmeno sul Bodensee, ma chi può dirlo). Come aiutare altri passeggeri a mettere la maschera una volta che l’ho indossata io... Qui le scappa da ridere e si mette una mano davanti alla bocca.

Ho il giornale spalancato, ma questa volta non posso fare a meno di dedicarle un minimo di attenzione. Mi spiega tutto questo in maniera impeccabile, anche se informale, comodamente seduta sul bracciolo di un sedile. In realtà, mentre fingo di ascoltarla e mi sento stupidamente più importante, devo fare un piccolo sforzo e controllarmi per non guardarle le gambe.

Ha finito finalmente. Partiamo.

Nessun consigliere per darmi due dritte? Nessun giornalista che venga a importunarmi? Meglio così. Leggo il mio giornale in santa pace e mi godo le Alpi fuori dal finestrino.

Ho saputo in seguito che nel giro di una settimana il Bologna-Stuttgard è stato soppresso.






sabato 18 maggio 2013

Madrid Terminal 4

Lui parte. Prende un aereo. Sono una di fronte all’altro, con una parete di vetro alta fino al soffitto che li divide. Di qua le persone che accompagnano e restano. Di là quelle che entrano per il controllo bagagli.

Madrid, Terminal 4.

Si fanno dei segni. Il vetro a pochi centimetri dalle loro bocche si appanna leggermente. Lei, che resta, lo chiama al cellulare. Lui sorride, dice due parole guardandola fissa negli occhi e mette giù. Quindi l’ultimo saluto. Se ne va.

Lei lo segue con lo sguardo, osserva attentamente senza distogliere gli occhi, non lo molla. Ha tutta l’aria di sperare che lui si volti, di chiedersi se lui si volta, di scommettere che lui si volta.

Il ragazzo si allontana di spalle trascinandosi il trolley. Scompare inghiottito dalle scale mobili. Lei si alza sulla punta dei piedi per constatare se possibile che lui all’ultimo momento si volti e la saluti. Ma non si volta.

Ora lei sembra indispettita. Se ne va con un passo deciso. Si accende una sigaretta e prende di nuovo in mano il cellulare. Forse gli scrive: perché non ti sei voltato? Sai pensavo che ti saresti voltato. Mi sono detta: se si volta lo rivedo.

Chissà, forse manda un messaggio a qualcun altro.

Evito sempre di accompagnare chi parte dentro una stazione o in aeroporto. Non mi piacciono gli addii.





sabato 11 maggio 2013

Duty free

Non mi fermo quasi mai nei duty free degli aeroporti. In genere trascorro l’attesa dell’imbarco leggendo un libro, una rivista o guardandomi attorno cercando di rilassarmi. L’unico negozio che m’interessa a volte è quello dove vendono orologi.

Oggi a Lione ce n’è uno proprio di fronte al nastro per il controllo bagagli. Mentre recupero la ventiquattrore, rimetto l’orologio al polso e la valigia a tracolla, mi dirigo verso la vetrina. Entro a dare un’occhiata.

Ultimamente l’orologio che più mi cattura è il Free lance di Raymond Weil, anche se trovo che sia fuori misura per il mio polso. L’altro orologio dei miei desideri è il Monaco di Tag-Heur. Cassa quadrata, sfondo azzurro, aria vintage e sportiva allo stesso tempo. Decisamente il più accattivante. Ma mi dico convinto che non arriverò mai a buttare 4.000 Euro per un orologio.

La commessa fino ad ora seduta dietro al banco si alza per servire una signora. E’ alta una spanna più di me. Le dico bonjour.

Mentre faccio per uscire dal negozio – dove avrò passato in tutto un paio di minuti – osservo un uomo sui sessant’anni dall’aspetto giovane, completamente calvo, con la carnagione leggermente gialla, chissà se per la stanchezza o gli stravizi di una settimana di lavoro. Fissa la vetrina dei gioielli da donna, immobile, concentrato.

D’istinto guardo anch’io per capire che cosa stia valutando: un anello, una collana o degli orecchini. Mi prende una leggera delusione quando mi accorgo che sta fissando un collier tempestato di brillanti, forse costosissimo, ma ai miei occhi inequivocabilmente pacchiano.

Mi chiedo per chi possa mai essere un regalo del genere. La moglie, la figlia, la madre, una fiamma.

Esco dal negozio sollevato al pensiero che in fondo siano ancora più le persone che gli orologi a incuriosirmi.




sabato 4 maggio 2013

da Tiziano Scarpa - La vita, non il mondo

Non ha assaggiato un sacco di cose

Ti piace la pasta coi broccoli? Va bene con le acciughe?
Chiediamo alla nostra ospite.
Penso di sì.
Pensi?
Non le ho mai mangiate.
Viene fuori che nella vita non ha assaggiato un sacco di cose: molte verdure, parecchi legumi. Non ha intolleranze alimentari, non è anoressica. Ma si porta dietro fin da bambina una diffidenza per certe forme e colori del cibo. Asparagi, piselli, carciofi, olive.
Anche le olive? Domando incredulo.
In tavola c’è una ciotola di taggiasche. La convinco a provarle. Ne assaggia con cautela una tra i denti, ha l’espressione di chi è intenta a valutare la sensazione che si sprigiona in bocca. Osserviamo quella faccia rivolta verso l’interno, quel viso introspettivo. Le prime volte sono sempre uno spettacolo.
Però mi pento di avere insistito. C’è una nobiltà affascinante nell’evitare per tutta la vita di conoscere alcune cose fondamentali. Come quelli che muoiono senza aver visto il mare. Sentirsi estranei a tutto. Attraversare questo mondo schivandolo.

(Tiziano Scarpa - La vita, non il mondo)