venerdì 27 aprile 2012

Non lo vedevo da una vita

Non lo vedevo da una vita. Forse di più. E visto che per me era troppo tempo mi sono deciso a chiamarlo.
Lo chiamo per sapere come vive, cosa fa, e questi dieci anni per lui non sembrano trascorsi. Salvo il fatto che ha viaggiato, visitato paesi nuovi e ora parla o dice di parlare quattro o cinque lingue in più. Gli credo.
Ci diamo appuntamento in un caffè del centro. Mi regala subito il suo nuovo libro prima ancora che la cameriera si presenti al nostro tavolo per prendere l’ordinazione. Apre il libro per scrivermi una dedica e resta assorto qualche secondo non sapendo bene cosa scrivere.
Gli dico che è lo stesso, non importa. Pure a me non viene in mente niente: è passato tanto tempo.
Parla solo lui. Parla di sé. Non occorre che gli faccia domande. Mi dice che i dialetti della Bosnia e del Montenegro hanno alcune parole uguali mentre altre sono assolutamente dissimili. Mi fa diversi esempi, oscuri grovigli di consonanti impronunciabili.
Tornato a casa mi sdraio sul divano e leggo il libro. È una raccolta di poesie su cavalieri e sovrani in lotta per spartirsi il territorio di antiche regioni dai nomi sconosciuti: la Livonia, l’Ingria, la Lusazia. Cori che invocano eroi epici dalla vita breve, effimera come le estati del nord. Alcuni passaggi del libro mi fanno pensare a un testo sognato in una lingua inesistente e da questa fedelmente tradotto. 
Mentre leggo mi chiedo se tra dieci anni avrò di nuovo voglia di chiamarlo.

sabato 14 aprile 2012

Claudio

Claudio, quando lo si incontrava a pranzo alla mensa aziendale, era sempre uno dei primi o uno degli ultimi ad arrivare. Se gli si chiedeva come va? per pura circostanza, rispondeva invariabilmente “bene, questo è il paradiso”. 
La mensa – uno stanzone senza pretese illuminato al neon nei giorni di pioggia e con il tetto rivestito in eternit – offriva una varietà dignitosa di primi, secondi un po’ così, contorni e persino frutta, tuttavia niente di significativo o che potesse ricordare il paradiso. Ma Claudio non era ironico. Veniva da lunghe trasferte in Kazakistan, Cina, Russia, e Dio solo sa che piatti gli si presentavano, che ristoranti. Sere solitarie in una camera d’albergo con il dubbio se rimanere alla finestra a guardare l’orizzonte e affrontare i morsi della fame o farsi il segno della croce, scendere al piano ristorante, magari al sushi bar per ingollare quello che capita tra gli sguardi neutri del personale e le occhiate interessate delle puttane che ti osservano con l’aria di conoscerti da sempre.
Così mi ritrovo a pensare a Claudio e mi immagino per un istante il paradiso come la mensa aziendale. Un camerone semivuoto con le pareti piastrellate, il soffitto a pannelli di legno trucciolato, i tavoli in formica e la signora robusta in grembiule dietro al banco che ti dice decisa e con un forte accento dialettale: “Cosa ti do?”

venerdì 13 aprile 2012

Berlino

Sono in centro a Berlino, fermo sul marciapiede in attesa del semaforo verde per i pedoni. Sull’altro lato della strada un uomo di mezza età, anche lui vicino al semaforo, mi guarda sorpreso, come se mi riconoscesse. Mi indica con un dito, alzando il braccio destro in orizzontale, come a dire tu, proprio tu.
Scattato il verde mi viene incontro senza togliermi gli occhi di dosso. Resto fermo sul marciapiede, immobilizzato dal suo sguardo, forse imbarazzato perché cercando nella memoria non riesco a trovare questa persona che ha l’aria di conoscermi da sempre.
Attraversate le strisce pedonali mi raggiunge, sempre guardandomi fisso. Mi aspetto che mi dica finalmente, da quanto tempo non ci vediamo… Ma mi chiede se sono lì per turismo, se conosco già la città e per quanto tempo penso di restare. Formulate queste tre domande a bruciapelo la sua sopresa nel vedermi e la sua curiosità nei miei confronti sembrarono esaurirsi.
Gli rispondo che sì sono lì per turismo, per la prima volta e resto una settimana. Dallo sguardo attonito con cui mi ascolta penso per un istante che non sia del tutto a posto. E in effetti, senza chiedermi altro, senza salutarmi, se ne va proseguendo per la sua strada.
Nel frattempo è riapparso il semaforo rosso per i pedoni. Devo aspettare un altro minuto prima di attraversare. In questo minuto d’attesa ripenso all’incontro e già non ricordo i lineamenti di quest’uomo, non sono in grado di dire se sia una persona sciatta o in qualche modo elegante. Se lo incontrassi di nuovo per strada tra qualche giorno non lo riconoscerei e probabilmente lui non riconoscerebbe me. Mi guarderebbe sorpreso trasmettendomi di nuovo l’impressione di incontrare qualcuno che non vede da tempo e chissà, forse mi farebbe le stesse tre domande.

sabato 7 aprile 2012

venerdì 6 aprile 2012

Hill and lake - Açores Islands

Montagne

Vedo questo fondale di montagne, come in Portogallo nei pressi di Leiria, come in Scozia lungo l’autostrada che da Glasgow scende verso Wamphray, come a Montefiore Conca guardando il Montefeltro. E penso di averle a disposizione per sempre.