sabato 31 marzo 2012

Tree close to Adriano Wall - North of England

Bratislava

“Sopra il tetto s’affaccia una nuvola grandiosa”

(Eugenio Montale, Ora sia il tuo passo, Ossi di seppia)

Mi siedo su una panchina della piazza. A giudicare dalla posizione del sole sul tetto del palazzo di fronte mi resta sì e no un’ora prima che l’ombra mi raggiunga.
Al mio fianco è seduto un ragazzo vestito di nero. Potrebbe essere un impiegato della banca qui vicino. Legge un quotidiano, una pagina sul Kosovo.
Ho gli occhiali da sole. Stendo le gambe e cerco una posizione comoda. Di fronte, a una decina di passi, sono sedute tre ragazze. Studentesse. Alla mia sinistra, su un’altra panchina, due signore distinte parlano serrato di non so cosa. Passano mamme con bambini sul passeggino.
Chiudo gli occhi e ascolto le voci, il brusio di sottofondo. Quando li riapro il ragazzo che era al mio fianco non c’è più. Resto solo sulla panchina. Richiudo gli occhi. Due ragazze alle mie spalle parlano di corsi di lingua e allo slovacco alternano mezze frasi in francese e in spagnolo. Ho notato venendo in piazza dei manifesti dedicati alla scuola di francese di Bratislava: Portes ouvertes à l’ècole de Française. Non riesco a seguirle, quello che dicono non mi interessa. Preferisco ascoltare il brusio indistinto di voci e suoni di sottofondo.
Uno scossone alla panchina mi fa riaprire gli occhi. A una spanna da me si è seduta una ragazza in maglietta bianca a maniche corte. Le noto il seno e mi accorgo del suo ragazzo seduto al suo fianco che le tiene un braccio attorno al collo e parla al cellulare. Non mi sposto anche se le sono così vicino. Riapro gli occhi. È proprio carina. Di quello che dice il suo ragazzo al telefono intuisco solo qualche parola: sta fissando un appuntamento per la serata.
Leggermente indolenzito cambio la posizione delle gambe accavallandole. Due ragazze giapponesi mi si piazzano di fronte. Una delle due cerca di farsi fotografare dall’amica mentre salta a mezz’aria, come se stesse saltando su un materasso. L’amica guarda la foto sulla macchina digitale e le fa capire che non è venuta bene. La scena si ripete quattro o cinque volte. Ogni volta entrambe guardano il display, ma la foto non viene, occorre rifare.
La ragazza che salta lo fa in maniera disarticolata, come se gambe e braccia fossero di legno. Tra una foto e l’altra si guarda intorno e ho l’impressione che getti un’occhiata anche a me.
Un brandello di nuvola ha coperto il sole prima che scendesse dietro i tetti.
Qualcuno ha lasciato forse di proposito un vecchio libro squinternato sulla panchina di fianco.
Mi alzo, deciso a fare due passi.

venerdì 23 marzo 2012

Amsterdam - People waiting for the bus

Il verzellino giallo

Il verzellino giallo in mezzo all’erba non teme l’ombra della tortora che si posa sui rami del pino. Nel caldo del pomeriggio mi affaccio alla finestra dell’ufficio per guardare fuori. Rare auto che passano sulla strada di fronte e il canto di qualche sparuto uccello. Il condizionatore guasto va a intermittenza: si accende, dura qualche secondo e si spegne. Non dà sollievo. Bagnato di sudore sono in attesa di uno squillo del telefono e non ho voglia di chiamare nessuno. Difficile immaginare che qualcuno lavori con questa calura.
Il verzellino perlustra il prato in parte inaridito. La tortora, forse più furba, resta all’ombra sui rami del pino. Siamo le uniche tre presenze di questo pomeriggio estivo. Non giungono notizie dal mondo. Nessuno si fa vivo. Questo mi fa credere che il mondo stesso sia alla finestra come me. In questa calura non ci sono guerre, scioperi, proteste. I giornali sono a corto di notizie e le poche scritte sembrano inattendibili. Spiare dalla finestra i movimenti degli uccelli è una notizia trascurabile.
La tortora prende il volo in verticale e planando scompare dietro le case. Il verzellino ha percorso rasoterra qualche metro e si è imbucato in una siepe.
Penso che quello che vedo difficilmente ti possa interessare e che mi ostino a notare cose per te insignificanti. Cose che nessuno vede o ha mai visto. Resto così solo alla finestra in questo pomeriggio di fine luglio.

da Arcade Fire

Kettles: http://youtu.be/2HdIKAnhLMg

mercoledì 14 marzo 2012

da Arcade Fire

Cold wind: http://youtu.be/Vo9gIE5DMnc 

Picture taken from the plane: Etna volcano

Scendo le scale dell'Assessorato

Scendo le scale dell'Assessorato all'Ambiente. Davanti al portone d'ingresso c'è un uomo attempato intento a leggere un avviso affisso al vetro. Incuriosito mi fermo un istante anch'io a leggere. C'è scritto che chi esce il giovedì e il venerdì dopo le tredici e trenta e dopo le di­ciassette e trenta è pregato di assicurarsi che il portone sia chiuso.
Apro il portone. Nello stesso momento il signore com­pleta la sua lettura e si muove incerto per uscire. Accorgendosi di me mi rivolge uno sguardo opaco, pen­sieroso, come se volesse dirmi qualcosa. Ride. Apro il portone e lo lascio passare. Mi guarda nuovamente e dice:
"Chi legge il cartello non mangia il vitello".
Sorrido anch'io, cercando un senso nella sua frase.
Lui ripete col dito puntato verso di me, "chi legge il car­tello non mangia il vitello", e vedendomi perplesso dice "è un detto veneto: chi legge il cartello, ha capito, aggira quello che ci sta dietro, ha capito? non può... diciamo che non mangia il vitello perché lo aggira. È un detto veneto. Ha capito?".
Io continuo a non capire e annuendo, un po' spazien­tito, faccio per andarmene, ma vedo che lui ha ancora qualcosa da spiegarmi.  È un detto veneto. Ha capito? ... ", mi dice scrollando un po' le spalle. "Ho capito" gli dico "vedrò di ricordarmelo".

domenica 4 marzo 2012

Picture from last winter

I signori seduti al Caffè Roma - I

I signori seduti al Caffè Roma la domenica mattina. Distratti dalle biciclette che passano, concentrati sull’orologio della torre che indugia sulle dieci. Assorti in un invisibile volo di colombi. Uomini che si riparano dal sole con le pagine del giornale, che at­tendono col sigaro spento in bocca, in maniche di cami­cia, gli occhi leggermente socchiusi. Turisti raccol­ti in un sottile sforzo di immedesimazione nella parte di chi è da sempre del posto e indigeni che si sentono turisti. Signori che aspettano qualcuno, impazienti, indecisi sull’ordinazione, puntuali, impeccabili nel guardare l'orologio. Signori dallo sguardo beatamente smarrito, libero da qualsiasi appiglio. Signori che fissano la cravatta del vicino, le gam­be di una donna. Tazzine di caffè che si raffreddano, cappuccini dalla schiuma traboccante, brioches, succhi di frutta, paste pronte per essere divorate, briciole che cadono dalla bocca dei bambini.
Anch'io sono seduto al bar. Leggo a fatica un giorna­le, già oppresso dal caldo. Il cameriere si aggira tra i tavoli. Non ci sono molte persone a sedere: ne approfitta per scambiare due chiacchiere con qualche conoscente, sul tempo, sull'ultima partita, su vecchi clienti che non si vedono più, rimasti a casa o dispersi in chissà quale altra località turistica.

I signori seduti al Caffè Roma - II

Leggo il giornale, ma non capisco nien­te, non riesco a concentrarmi. Difficile interessarsi alla politica in una domenica di sole come questa e nemmeno la cronaca mi incuriosisce.
Una coppia di ragazzi si siede di fronte a me a due tavolini dal mio. Ordinano subito, come se avessero fret­ta. Leggono entrambi il giornale. Lui la pagina sportiva, lei la cronaca. Appena seduti si buttano a capofitto nella lettura. Lei di tanto in tanto salta su con un'esclamazio­ne leggendo ad alta voce notizie che la fanno ridere. Lui annuisce senza alzare gli occhi dal giornale. La ragazza porta i jeans e una camicetta bianca anno­data sopra l’ombelico. La camicetta è leggera, al sole sembra trasparente. Contrasta con la sua abbronzatura e i capelli neri. La camicetta non è abbottonata: una lunga scol­latura scende dalle spalle fino al nodo. Quando lei si piega interessata sul giornale, la camicia leggermente rigida le si gonfia lasciando intravedere il seno.
Mi rendo immediatamente conto che davanti ai miei occhi può svelarsi in tutta la sua naturalezza un caldo segreto, un particolare inatteso, di cui posso essere spettatore eccellente, scelto da una fortuna ca­suale.
La ragazza dopo es­sersi sporta in avanti sul giornale appoggia improvvi­samente la schiena alla sedia per comunicare come pri­ma qualcosa al ragazzo. Il ragazzo l'ascolta senza levare gli occhi. Lei non si mostra sorpre­sa di questa sua noncuranza e prosegue la lettura.

I signori seduti al Caffè Roma - III

Il cameriere porta due succhi di frutta dal colore eso­tico. Il ragazzo paga, beve e riprende a leggere.
Lei legge sorseggiando il succo, profondamente con­centrata. Lentamente, con un movimento inconsapevole, si riabbassa sul giornale che ora tiene appoggiato sulle gambe. La camicetta si stacca di nuo­vo dal seno. Non ha niente sotto.
Mi sorprende il fatto che non le venga il minimo sospetto che con quella scollatura si veda tutto.
Dal modo in cui si avvicina al giornale deve essere miope. Penso che le ragazze miopi debbano avere un concetto labile della nudità, come se per loro essere nude avesse meno importanza rispetto all'importanza che può attribuirgli una ragazza dalla vista perfetta. Come se le ragazze miopi fossero in qualche modo distanti dal proprio corpo o dalla propria bellezza.
Lei continua a piegarsi sul giornale e a questo punto rie­sco a vederle il seno, ma non del tutto. Il capezzolo resta leg­germente nascosto da un lembo della camicia.
Si piega ancora in avanti. La sua camicia bianca al sole è accecante. Sotto, quasi ad una spanna dal tessuto, resta in ombra il seno leggermente oblun­go. Seguendone la linea, in un’ombra calda, lo sguardo giunge all'areola liscia, abbronzata, col capez­zolo che tocca appena il cotone bianco della camicetta.
Improvvisamente si alzano. La ragazza si stira tendendo in alto le braccia. Sistema i capelli dietro la nuca, li lega con un elastico rosso.
Mentre si allontanano lui le pizzicotta il fianco stringendola con un braccio attorno al collo. Lei si divincola inarcando il corpo in un movimento flessuoso.
Il cameriere li segue con lo sguardo dalla soglia del bar dondolandosi nervosamente sulla punta dei piedi. L'orologio della torre batte inesorabilmente le undici.