sabato 27 aprile 2013

Dove sono?

“Dove sono?”

A chiederlo è un ragazzo con una t-shirt nera. Ondeggia. Equilibrio precario, sguardo perplesso, aria divertita.

Di fianco a lui sul marciapiede in attesa del verde per attraversare la strada quattro ragazzi parlano e ridono tra di loro. Due coppie. Rientrano dalla serata. Non è tardi, ma oggi è un giorno feriale e domani c’è lezione.

Nessuno sembra essersi accorto di lui tranne me.

“Dove sono?” ripete con la stessa voce, lo stesso tono allegro di prima. E’ ubriaco.

“Krakow” gli risponde uno dei quattro, “Sei a Krakow, pianeta terra”.

Mentre assisto alla scena mi dico che stasera è stato un ubriaco a porre la domanda più lucida.

sabato 20 aprile 2013

da Erri de Luca - Il giorno prima della felicità

Dei venti anni in Argentina ricordava il viaggio, l’oceano.

(Erri de Luca - Il giorno prima della felicità)






sabato 13 aprile 2013

Dirk la mia penna blu e un volo d'uccelli

Dirk, il mio collega tedesco, è un inguaribile romantico. Modi gentili, sempre rasato, viso e capelli curatissimi. Ha l’aria di uno che frequenta assiduamente club e discoteche. Chissà, forse è omosessuale o forse mi sbaglio. Ma questo non ha importanza.

Oggi abbiamo lo stesso volo per Mosca. Prima di imbarcare gli do una copia della richiesta di visto da compilare in modo che all’arrivo possiamo evitare la fila ed essere tra i primi allo sportello immigrazione.

Ma quando sbarchiamo a Mosca Dirk dice di essersi dimenticato di riempire il foglio. Mi chiede una penna. A malincuore gli do la mia penna blu e dico che ci vediamo fuori, ai nastri dei bagagli o davanti ai taxi.

Un’ora più tardi quando ci incontriamo all’uscita dell’aeroporto mi aspetto che mi ridia indietro la penna. Ma non dice niente. Così penso non sia il caso di fargli notare che se l’è tenuta e decido di non chiedergliela.

Il giorno dopo siamo in fiera. Dirk dice “la tua penna, grazie” e me la porge.
Il fatto che me la restituisca quando oramai me l’ero dimenticata è una piacevole sorpresa. Ho sempre una penna nella tasca della giacca e questa qui, presa a Varsavia un paio di settimane fa, è un’ottima penna a sfera. In più è blu, un bel blu acceso.

Passiamo la giornata allo stand tra colleghi, amici e clienti. Russi, italiani, tedeschi, bielorussi e polacchi. Siamo a Mosca per cui la lingua comune per la nostra conversazione è il russo. Me la cavo abbastanza bene in russo e ogni occasione è buona per fare pratica. Abbiamo un amico di Minsk che passa tutto il tempo con noi, Aleksander o meglio Sasha. Lo chiamiamo prof. E’ il nostro professore di lingua russa, uno dei migliori: calmo, paziente, disponibile.

Dirk col suo russo macchinoso, preciso, con un palese accento tedesco, a un certo punto dice “Sasha vorremmo che tu ci portassi da qualche parte stanotte”.

Sasha come prof è in gamba, ma in fatto di locali discoteche o club non ne ha un’idea. Non gli viene in mente niente.

Così Dirk si guarda intorno e ferma delle ragazze che passano davanti allo stand. Sono tre, una di loro, quella con i capelli rossi, è spigliata, loquace.

“Buongiorno” dice Dirk, “scusa se ti disturbo, ma stanotte vorremmo uscire, ascoltare buona musica, bere qualcosa. Conosci qualche posto?”.

“Si” dice lei, “ce ne sono due o tre in centro dove potreste andare”.

Dirk si fruga in tasca e mi guarda. Mi avvicino e porgo la mia penna blu e un foglietto alla ragazza dai capelli rossi.

Mentre lei scrive la osserviamo incantati: capelli lunghi, leggermente mossi. Niente orecchini. Mani diafane, dita sottili, unghie stranamente lunghe per una ragazza che di primo acchito sembra acqua e sapone.

“Qual è il migliore secondo te?” le chiede Dirk.

 “Overtime” risponde. “Posso tenere la penna?” chiede lei a bruciapelo.

“Si” le dice Dirk, “se ci scrivi il tuo nome e il numero di cellulare”.

Koneshno” risponde lei: certamente.

“Hai sentito come ha detto koneshno?” chiedo a Dirk quando rientriamo nello stand.

“Ho sentito” annuisce lui.

“Come una pietra che cade sulla superficie di un lago” dico a Dirk.

Resta in silenzio qualche secondo e mi dice: “Koneshno. Nella mia testa c’è spazio per il volo di migliaia d’uccelli.”






sabato 6 aprile 2013

da un articolo di Franco Marcoaldi su Wieslawa Szymborska

Attimo, Due punti, Qui. Titoli sempre più brevi, sempre più semplici, sempre più icastici, legati tra loro giust’appunto dal problema del tempo; nella duplice ossessione dell’eterno ritorno e dell’intrinseca caducità di un’esperienza unica e irredimibile:

“Non c’è giorno che ritorni, non due notti uguali uguali
né due baci somiglianti
né due sguardi tali e quali."

L’uomo è un essere temporale, che legge la sua vita e quella del mondo attraverso la successione dei momenti, ma proprio perciò è impossibilitato a sprofondare nel momento, a vivere interamente ogni singolo istante, stretto com’è tra il ricordo del passato e l’attesa del futuro:

“Perché tu, malvagia ora
dai paura e incertezza?
Ci sei – perciò devi passare.
Passerai – e qui sta la bellezza.”

Ecco, credo che il grande amore di Szymborska per gli animali nascesse proprio da qui. Da un sentimento di ammirazione, anzi di invidia, verso quelle creature che non vivono, come noi, attraverso il momento, ma nel momento. E solo in quello. E perciò non conoscono ambivalenza, calcolo, trucchi, trappole. E hanno di conseguenza “la coscienza pulita”.


(Articolo su Wieslawa Szymborska di Franco Marcoaldi - Repubblica 2 febbraio 2012)




 

martedì 2 aprile 2013

Oltre a lei

Oltre a lei il vero spettacolo sono gli uomini seduti qui attorno. C’è chi fa lo sguardo truce. Chi senza accorgersene assume un’aria stordita. Chi si atteggia, consapevolmente, come se si guardasse allo specchio nella sua posa migliore. Chi senza distogliere gli occhi e battere le palpebre riesce a mantenere uno sguardo inintelleggibile.

Chi ammicca concupiscente. Chi osserva impunemente. Chi resta sbalordito, catalettico, come se avesse visto la Madonna. Chi incredulo si chiede se sta sognando ad occhi aperti. Chi sarebbe disposto a pagare, chi rinuncerebbe a tutto. Chi dimentica se stesso.

Chi perde il segno dell’interminabile romanzo che sta leggendo, che sta vivendo. Chi lascia suonare a vuoto il cellulare senza rispondere. Chi resta col cucchiaino dello yogurt a mezz’aria, con il bambino seduto nel passeggino che aspetta a bocca aperta e non ne capisce il motivo. Lo capirà tra qualche tempo.

Succede questo quando la mora tacco dodici con le gambe da cicogna si siede al gate 71 di Paris Charles de Gaulle.