sabato 23 febbraio 2013

Youth

Youth era una parola che non riuscivo a pronunciare: iouz, iuz, iouhz. La sentii ripetere più volte durante il mio primo inter-rail in Inghilterra. Dormivo in ostelli della gioventù, youth hostels. Pronunciare le due parole assieme era ancora più difficile e anche se erano stampate a caratteri cubitali sulla copertina della guida, solo dopo alcuni giorni riuscii ad associare la pronuncia di quelle due parole alle due parole scritte.

Gioventù, giovinezza.

L’italiano, forse poetico o ingannevole, non trasmette lo stesso suono dell’inglese. Youth è una sillaba misteriosa, è come un taglio, un colpo di vento, dura un istante.

sabato 16 febbraio 2013

A che punto sono della mia vita

La bottiglia di vino rosso è finita. Il primo che avvista il cameriere ordina la seconda.

Sono a cena con Alessandro in una bettola del centro.

Mi guarda da un paio di minuti fisso fisso senza dire niente. Mica che sia a corto di argomenti. Quando fa così è probabile che abbia una domanda in canna, lo conosco.

“Da quanto tempo non vai in giro?” mi chiede.
“Sono rientrato ieri da Algeri”.
Potrei avergli detto Londra, Mosca o Beirut, non avrebbe fatto alcuna differenza. Ha un lavoro simile al mio, pure lui è spesso all’estero.
“Tu?” gli chiedo.
“Non vado più da nessuna parte. Il titolare latita, non si fa vedere, devo stare in ufficio”, dice lui, “e questo dimostra che girare o non girare le cose non cambiano.”
“Dici per il risultato o perché in viaggio o in ufficio fa lo stesso?”
“Per me è lo stesso. Non cambia il risultato e non mi cambia la vita, mi abituo in un attimo a entrambe le cose…”.
“Ho capito” gli rispondo.

Il cameriere con un'occhiata ci fa intendere se vogliamo qualcosa. Alessandro alza a mezz’aria la bottiglia di vino vuota.

“A che punto sei della tua vita?” mi chiede a bruciapelo.

Ha l’aria di una domanda solenne, ma non riesco a dare peso alle sue parole. Perché Alessandro è così: di punto in bianco, quando meno te lo aspetti, ti incalza con questioni sui massimi sistemi.

“Sono a questo punto, il punto presente” gli rispondo.
E vista l’insoddisfazione nel suo sguardo per la mia risposta aggiungo: “Come te aspetto che il cameriere porti un’altra bottiglia di vino”.

Il cameriere arriva con la seconda bottiglia, stappa e senza convenevoli riempie i calici fino a tre quarti.

“Hai mai letto Marco Aurelio?” Gli chiedo.
Alessandro accenna un no con la testa.
“Stasera quando rientro a casa ti mando qualcosa per email.”

La sera torno a casa, cerco tra i libri A se stesso. Mi sdraio sul divano e scorro le pagine dove ho segnato a matita alcuni passaggi. Ecco la frase. Cellulare in mano gliela trascrivo paro paro:

“Nessuno perde altra vita se non questa che sta vivendo, né vive altra vita se non questa che va perdendo.”

sabato 9 febbraio 2013

Oggi pranzo con Irene

Oggi pranzo con Irene. E’ qui a Ravenna perché stamattina ha fatto degli esami in ospedale. Qualche mese fa le hanno scoperto uno scompenso nei globuli bianchi, una degenerazione inspiegabile. Forse un tumore.

La cosa mi sembra seria, ma Irene mentre me ne parla ride. E allora mi viene in mente che lei è così: parte sempre dal peggio, tira al melodrammatico, poi si riprende, sdrammatizza.

Dice che è una forma ereditaria e in effetti qualche suo parente ha avuto una cosa simile, tipo sua nonna.

“Se n’è andata per questo?” le chiedo serioso.
“Ma va!” fa lei, “è ancora al mondo. Quest’estate compie novantadue anni…”.

Tutto sommato non mi sembra preoccupata. Sono felice di vederla e glielo dico in continuazione. Irene resta la mia ex collega preferita. Una donna tutta d’un pezzo, schietta, spontanea, a volte fintamente ingenua. Con lei mi viene naturale infilarmi in lunghe chiacchierate. Quando eravamo compagni d’ufficio praticavamo il pettegolezzo sfrenato e adesso che non lavoriamo più assieme ogni tanto ci dobbiamo incontrare per metterci in pari.

“Sai che sopra ci sono delle camere?” le dico.
“Quindi?”
“Niente. Volevo dirti che ne ho prenotata una per noi due.”
(Sguardo interrogativo di lei)
“Andiamo, su...”
“Ma sei fuori? Smettila dai.”
“Guarda, ti resta così poco da vivere… Io ci farei un pensiero…”

sabato 2 febbraio 2013

Una notte a Istanbul

Una notte a Istanbul nel quartiere di Galata mi sono fermato a guardare dei bambini che giocavano a calcio schiamazzando in un campetto di terra battuta. Visto lo spazio ristretto c’era solamente una metà campo: due squadre indistinte con una sola porta e un portiere. Proprio come giocavamo noi nello spiazzo di via Lametta.

Dietro la porta alle spalle del portiere l’arco illuminato della costa europea, brulicante di luci a perdita d’occhio.

Quei bambini sembravano prendere a calci l’Europa. Ogni tiro che finiva alto sopra la porta era come una pallonata irriverente a una capitale, a un angolo sperduto del vecchio continente.