sabato 23 marzo 2013

sabato 16 marzo 2013

Adesso non cerco più il bamboccio


Samantha, la mia collega e compagna d’ufficio, si è mollata col ragazzo. E’ successo anche l’anno scorso, non so se con lo stesso.  Quando si lascia col moroso perde completamente la fiducia in se stessa. Sembra smarrita. Tutte le sante mattine appena arriva in ufficio il suo primo pensiero è ascoltare l’oroscopo su internet: per un minuto buono mi fa sentire la voce di questo debosciato che snocciola a caso fregnacce sulla vita, l’amore e le stelle. Non ancora sazia mi chiede – ogni giorno – di che segno sono e fa partire il mio, di oroscopo.

Dall’estate scorsa questo premio nobel parlando a vanvera del Leone ripete che devo mettere ordine nelle mie finanze, darmi una calmata con le spese. Sempre uguale. Oramai mi ha sfracellato l’anima con sta menata.


Ascoltato l’oroscopo Samantha si trucca scrutandosi in uno specchietto tascabile. Sopracciglia, ciglia, fard, cipria, rossetto. Chatta una buona mezz’ora su skipe. Fa un paio di telefonate. Va in bagno con una collega. Beve un caffè con un’altra. Riceve cinque minuti la sua amica dell’Amministrazione. Solo sulle undici realizza di essere in ufficio e finalmente si mette a fare qualcosa, così, per ammazzare il tempo.

Biascica chewing gum ininterrottamente e tracanna litri d’acqua. A metà mattina o a metà pomeriggio si concede uno spuntino previsto dalla dieta che gli ha consigliato un tizio in palestra: prosciutto crudo e yogurt.

Presa da questa burrasca sentimentale è come una mina vagante. Offerte sconclusionate, lettere d’invito inevase, pratiche che scompaiono nel nulla, cose da ripetere tre volte.

Ci sono giorni in cui ha gli ormoni a mille: vestita abitualmente da pin up cammina sculettando davanti alla mia scrivania, si appoggia al tavolo col busto a novanta gradi, lancia occhiatacce da gazzella del Serengheti. Uno di questi giorni penso di prendere su e sbattere la testa contro il muro.

Oggi di punto in bianco nel silenzio dell’ufficio mentre armeggiava con specchietto e eyeliner se n’è uscita con una frase lapidaria: “Adesso non cerco più il bamboccio bello. Voglio solo un uomo che mi fa stare bene.”

Desiderio plausibile.

Mi guarda.

La guardo.

Provo a immaginare l’uomo che la farà stare bene e mi chiedo – per un momento complice - di che segno potrà mai essere.



 

domenica 10 marzo 2013

da Dente - Vieni a vivere

Paolo deve essersi innamorato

Paolo deve essersi innamorato di Agata perché lei assomiglia a un uccello.

Compagno di squadra nelle partite di calcio giocate nel campetto del quartiere, figlio della mia prof di Educazione Tecnica alle medie. Giocava sempre in porta. Una porta fatta di tre travi di legno grezzo inchiodate malamente appoggiata alla siepe di cipressi che delimitava il campo. Un pomeriggio mentre lui era pronto a parare un rigore una folata di vento ha scosso la siepe e la porta gli è piombata addosso colpendolo alla testa. 
Paolo era talmente concentrato che non si è accorto di noi che gli stavamo gridando di spostarsi. Fortunatamente non si è fatto niente.

Ci siamo persi di vista. Ma una sera me lo ritrovo in una birreria del centro.

Mi dice che da anni va regolarmente in Polonia, frequenta le riserve naturali dei Mazuri: una regione di colline, foreste, paesaggi verdi tutto l’anno e una miriade di laghi. Passa lunghi mesi appostato con binocolo e macchina fotografica per documentare l’aquila pescatrice. È l’uccello simbolo della Polonia, raffigurato negli stemmi e nelle bandiere del paese. Trascorre giornate intere acquattato per terra in attesa di scovare il rapace. Notti all’addiaccio, albe interminabili, sotto il sole cocente o tartassato da vento e acquazzoni.

Mentre l'ascolto noto il suo viso bruciato, la pelle rossa, il naso come quello delle persone che bevono. Ma non lo trovo invecchiato.

E mi dice di Agata. Una ragazza polacca conosciuta per caso in un villaggio, che ha sposato subito.

Qualche giorno dopo lo incontro nuovamente ma questa volta con Agata. E' magra, ha il collo lungo, il naso che ricorda il becco di un’Avocetta. Gambe esili, pelle chiara, capelli castani, occhi azzurri. Una voce sottile, squillante. È dolce, ingenua, spontanea. Sembra un airone, uno di quegli uccelli dalle zampe lunghe e dal portamento aggraziato e mi ritrovo a pensare che forse Paolo si è innamorato di lei proprio per questo.

Ora Agata vive in Italia, ha un figlio di cinque anni. Paolo la maggior parte del tempo continua a passarlo nelle zone selvagge a caccia di uccelli da fotografare. Sa che a casa lo aspetta una cicogna migrata a sud.



sabato 2 marzo 2013

Sono in bici

Sono in bici. Mi dirigo in fretta verso l'ufficio di collocamento. Davanti alla Rocca Brancaleone un ragazzo mi fa cenno di fermarmi. È sulla trentina, forse trentacinque anni. Indossa uno strano cappello di cuoio dalla forma cinese, a cono largo rovesciato. In mano ha una macchina fotografica da poco, di quelle che sembrano un giocattolo. Ha un aspetto trasandato, la barba incolta, un paio di occhiali dalle lenti spesse. È senz'altro un turi­sta, forse un turista straniero.

Attraverso la strada e mi avvicino a lui intuendo la sua in­tenzione. Vuole che lo fotografi con la Rocca sullo sfondo.

Ha un accento meridionale, ma dalle poche parole che ci scambiamo non riesco a capire se è pugliese o napoletano. Mi chiede di fotografarlo anche a mezzo busto, non importa se nell'inquadratura non ci sta tutto, l'importante è che nella foto appaia la Rocca sullo sfondo.

Prendo in mano la macchina fotografica. È leggera, nera, col pulsante per lo scatto cromato leggermente in rilievo. Lui è pronto, in piedi, quasi appoggiato ad un'auto parcheggiata sul lato della strada. Nell'inquadratura c'è lui dalla vita in su sulla sinistra. Dietro, i fili della luce, qual­che auto parcheggiata e la lunga parete della Rocca che occupa tutto lo sfondo. Sulla parete del bastione d'ingres­so spicca il manifesto bianco in cui è scritto a caratteri cubitali Rocca Cinema.

Non sorride.

Attende lo scatto strizzando gli occhi per l’intensa luce.

Scatto.