sabato 29 settembre 2012

Nel telegiornale delle 13.00

Nel telegiornale delle 13.00 tra le notizie lampo ce n'è una che riguarda la diminuzione delle risorse idriche nel mondo. In Africa, dice la voce fuori campo, l'acqua in breve tempo è destinata a ridursi di un quarto di quello che sono le disponibilità attuali. Sullo schermo, a suffragare queste parole poco rassicuranti dette con impeccabile professionalità, compaiono immagini della savana e donne che si aggirano tra capanne di paglia con un cesto o un'anfora sulla testa.

Mentre fuori piove penso all’Africa di cui la prima cosa che ricordo è la sua immagine sull'atlante geografico. Provo a riflettere sul caldo polveroso di un luogo arido e penso a questo: cosa può significare l'assenza della pioggia in un paese dove non piove mai.

Mi chiedo se questi messaggi dal sapore apocalittico nascono dall'esigenza di informare su aspetti preoccupanti o se nella loro brevità nascondono la sola intenzione di abituarci in dosi omeopatiche a cataclismi e sconvolgimenti ben più gravi e irrimediabili. Ma il tempo per farsi delle domande è poco perché la giornalista, con la stessa padronanza, la stessa voce di prima, già parla del successo dell'ennesima conferenza sulla produzione dell'olio d'oliva.

sabato 22 settembre 2012

Il taxi in arrivo

“Siamo in nove. Per cui resto io”.
Può sembrare una scusa per separarmi dal gruppo e forse lo è. Abbiamo prenotato due taxi, ma solo all’ultimo momento quando sono arrivati all’albergo ci siamo accorti che bastano per otto persone. “Resto io” dico, “ho un appuntamento in centro. Chiedete per favore a uno dei due tassisti di tornare indietro a prendermi.”
“Ma poi vieni con noi?”
“No” rispondo, “mi spiace ma devo andare da un’altra parte”.

Così partono e resto solo sul marciapiede davanti all’albergo. Quanto dovrò aspettare? Non saprei, non ne ho idea. Mi viene in mente quella sera in cui in pieno centro a Porto ho chiesto a un tassista di tornare a prendermi dopo due ore nello stesso posto in cui mi aveva lasciato. Pioveva. Si certo, mi dice il tipo. Lo sto ancora aspettando…

Cammino avanti e indietro sul marciapiede di fronte all’albergo. Male che vada ne avrò per una mezz’ora. Attendere. Camminare e attendere. Potrei approfittarne per sistemare quello che è rimasto a lungo confuso in testa. Mentre cammino godendomi quest’aria tiepida e il sole del tramonto mi dico che dovrei prendermi un giorno per fare una camminata, magari in montagna, seguire una strada che serpeggia tra campi e boschi, perdermi lungo un crinale.

Camminare per camminare. Camminare per mettere in ordine i pensieri. Come quel pensiero che  riguarda te e che da troppo tempo mi ronza in testa. Già adesso, passeggiando avanti e indietro sento che le cose trovano un equilibrio. Finalmente potrei giungere a un modo per chiarire, prima di tutto con me stesso. Riuscirei a venirne a capo, a sciogliere questa matassa, questo filo che ho lasciato imbrogliato in un angolo della testa, come un rebus irrisolto solo perché non mi sono mai deciso a prendermi il tempo per risolverlo. Sempre con la scusa o il pretesto di essere distratto da altro, mai seriamente intenzionato ad affrontarlo. Risolverlo prima con me stesso e poi dirtelo, chiamarti, trovare le parole adatte, parlartene con calma.

E proprio adesso che penso a questo arriva il taxi.

sabato 15 settembre 2012

Ho rivisto i tuoi occhi

Ho rivisto i tuoi occhi un pomeriggio di fine marzo sul viso di una ragazza seduta nel mio stesso scompartimento sul treno diretto a Varsavia. Quello sguardo severo non so se dovuto alla miopia o a una propensione indagatrice. Quegli occhi che fissano istantaneamente qualcosa, che diventano una sottile fessura come gli occhi di un rapace prima di ghermire la preda e non mollano l’oggetto in questione, la persona, il dettaglio, fino a quando qualcos’altro infinitesimale e insignificante li distoglie.

sabato 8 settembre 2012

Jack, il pinguino e io

Jack, mentre andiamo in macchina da un cliente, mi racconta del documentario sui pinguini che ha visto ieri sera. Il pinguino maschio passa l’intero inverno a covare, immobile al freddo, sotto bufere di neve e vento sferzante, mentre la pinguina se ne va in giro a nuotare e a caccia.
“Cavolo” dice Jack “quel povero fottuto pinguino tutto il tempo fermo sotto le intemperie…”

Ascolto e non ascolto Jack. Ho la testa altrove. In più non è facile seguire il suo scozzese stretto. Fuori dal parabrezza mentre andiamo a qualcosa come cento miglia all’ora scorre il paesaggio a nord di Dundee, insolitamente squallido per essere in Scozia. Piove, il cielo uniformemente grigio sfuma in nebbia all’orizzonte, ma penso che questo sia niente in confronto all’Antartide.

“Questo fottuto pinguino” continua Jack non accorgendosi che ho perso il filo “se ne resta fermo come un coglione con quest uovo sotto la pancia”.

L’immagine del pinguino ce l’ho ben chiara davanti agli occhi anche se non ho visto il documentario. Solo il pensiero di restare immobile mentre imperversa una bufera mi fa raggelare. Mi viene in mente la neve che ho visto a Riga in Lettonia a fine marzo, mentre in ufficio al caldo cercavo di dirimere un contenzioso tra un cliente e un mio collega tedesco. Nevicava con un vento forte. I fiocchi sfrecciavano davanti alla finestra in orizzontale senza nessuna possibilità di cadere a terra. Per questo povero pinguino, lui in mezzo a una caterva di suoi simili, dev’essere uguale: giorni e notti all’addiaccio con la neve sparata dritto negli occhi.

Annuisco a Jack, pur non seguendolo da un minuto abbondante e non sapendo bene se mi riferisco a quella del pinguino o alla nostra gli rispondo riprendendo le sue ultime parole: “fucking life”.