sabato 27 ottobre 2012

Coda di cavallo


“Mi vedo da un po’ con una tipa mora, capelli lunghi ricci, alta uno e ottanta, quasi più alta di me” dice Alessandro. Stiamo parlando del più e del meno davanti a un caffè e al suo pacchetto di sigarette. Lo lascio dire, m’interessa.

“Occhi scuri” continua, “piercing sul naso, piercing all’ombelico, piercing sulle sopracciglia e mi ha promesso che si fa il piercing anche lì”. Sgrano gli occhi. “Tutta tatuata. Fai conto, qualcosa come sei o sette tatuaggi. Uno di questi giorni li conto e ti dico quanti sono...”

Non dico niente, ma con gli occhi gli faccio capire di proseguire: voglio vedere dove vuole arrivare perché le sue storie tirano sempre all’apologo, al finale col succo.

“Allora un giorno” prosegue Alessandro “mi ritrovo a parlare con mia moglie e le dico che se devo confessarle un debole, se c’è qualcosa che mi fa uscire pazzo in una donna sono i capelli lisci, tirati indietro, con la coda di cavallo. Meglio se bionda.”
“Come la madonna, dice mia moglie ironica. Non so bene cosa intenda, ma probabilmente ha ragione lei: mi piace la donna classica, dall’aria bene. Mi fa impazzire se vestita da tennista o in divisa da golf. Mia moglie dice che sono proprio un classicone tradizionalista...
“Ma mi ci vedi a me, dico io a mia moglie, con una morettona tatuata tutta piena di piercing?”.

Sorrido. Scuoto la testa e dico a Alessandro col tono del prete che si arrende di fronte al peccatore incorreggibile: “fottutissimo verme”.

sabato 20 ottobre 2012

Ho fatto un casino (Una scena del film, non il finale)



“Ecco il tuo morso oscuro di tarantola: son pronto.”
(Eugenio Montale, Il ritorno)




“Ho fatto un casino.”
Dice questo piangendo. I suoi occhi azzurro mare adesso paiono liquidi, prendono profondità. Le lacrime cadono sul dorso della mano, sul vestito, come se piovesse.

Fuori piove.

Sembra un film. Come nei film tutte le volte che c’è un momento drammatico piove. Dev’essere un espediente cinematografico per dare maggiore intensità alla scena e renderla inequivocabilmente reale. Mi scopro a pensare che nelle sue lacrime ci sia un po’ di fiction, ma cerco di allontanare questo pensiero: non voglio sovvertire regole del cinema comunemente accettate, tanto meno credere che lei stia recitando o che la pioggia fuori sia un artificio.

Ha il viso bagnato. Il rimmel sulle ciglia si scioglie cerchiandole gli occhi di nero. Dice che ha fatto un casino, ma non dice altro.

Preparo due tazze di tè e gliene metto una di fronte sul tavolo. “Attenta che scotta” le dico. Ma non lo tocca, lo lascia raffreddare. E’ come se non avesse sentito la mia voce.

Dice che erano diventati come fratelli lei e suo marito. Lei sempre presa dal lavoro, dalle sue traferte all’estero. Lui che doveva ancora dare alcuni esami all’università. In pratica non si vedevano mai.

Posso solo fare supposizioni. Forse lei ha avuto una storia. Forse è arrivata al punto da non provare più niente nei suoi confronti. Magari con lui ci stava bene. A pensare il peggio ci si prende. Per cui quello che si insinua nella mia mente è che lei sia stata con un altro e lui se ne sia accorto. O che lei abbia fatto in modo che lui se ne accorgesse.
 
Penso a quanto possa essere doloroso separarsi per due persone che non si vedono mai.

“All’inizio passavamo assieme tutti i fine settimana” dice riprendendosi. “Dormivamo in un appartamento in affitto. Un monolocale soppalcato con una terrazza che dava sul campanile di una chiesa. Le campane suonavano dalle sette di mattina alle dieci di sera.”
Sorride.
“Non c’era bisogno di mettere la sveglia per alzarsi. Un incubo. Ogni ora un tocco forte e la campana piccola per i quarti d’ora. Quando suonava la campana delle sette mi svegliavo di soprassalto. Sette tocchi uno dietro l’altro. Non sono mai riuscita ad abituarmi.”

Improvvisamente diventa loquace. Smette di piangere.

“Qualche domenica andavamo in giro a piedi per il centro a cercare case in vendita. Ne abbiamo trovata una che ci piaceva, l’abbiamo fermata pagando una caparra.”

Beve un sorso di tè. Si soffia il naso con un fazzoletto tutto stropicciato.

“Mi ha fatto arrivare una lettera ingiuntiva da un avvocato. Non vuole darmi un soldo.”

Mi chiedo se farei lo stesso nei panni di lui. Qualcuno mi ha già detto che alla fine di una storia tutto si riduce a una questione economica.

“Cosa devo fare? Dimmi cosa devo fare”.
Si asciuga le lacrime col palmo delle mani.
C’è qualcosa che non mi dice e non me la sento di chiederglielo. In fondo non so niente di lui e poco più di niente di lei. Non mi va di impicciarmi della sua vita.

“Che casino” dice lei, “che casino che ho fatto”.

Ora le lacrime cadono sul piano del tavolo, sul legno liscio, senza nessuna possibilità di evaporare. Restiamo un momento senza parlare. Sono questi momenti di silenzio quelli che preferisco. Mi viene in mente una canzone di Paolo Conte, il titolo dev’essere Un vecchio errore: “Niente di niente… spiegalo alla gente, cosa vuol dire, cosa vuol dire amare l’amore, senza mai fare neanche un errore.”

La guardo negli occhi e cerco di capire che cos’è che non mi vuole dire. Bevo il tè e mi chiedo se mi metterei con una come lei. Non servono altre parole. Fossi il regista di questo film proseguirei con la pioggia fuori e chiuderei con la canzone di Paolo Conte senza aggiungere altro. Sarebbe solo una scena del film, non il finale.

sabato 13 ottobre 2012

Algeri

Il vento scuote appena gli eucalipti di Algeri. Ha lo stesso tepore di quello che nel tardo pomeriggio soffiava in spiaggia a Guardalavaca. Anche qui ha il sapore dolce del mare.
La musica di liuto che esce falsata dagli altoparlanti della fiera accompagna passanti distratti carichi di sporte di carta. Arrivano a tratti le voci e le grida dei ragazzi sulla ruota panoramica in fondo al viale. Tra le chiome degli alberi appaiono solo i sedili più alti,  dondolano lungamente ogni volta che la ruota si ferma.
Un cane invisibile abbaia.
Tra poco la voce del muezzin da altoparlanti più lontani irromperà in questa scena per la preghiera del pomeriggio.

sabato 6 ottobre 2012

Monica


Your love is my poison
(Scritto in nero su una t-shirt bianca)


“E’ stato un capello a fregarmi, un lungo capello nero. Mia moglie è bionda”.

Mentre parla mi viene in mente una storia che mi ha raccontato il mio capo anni fa. Sua moglie aveva scoperto un capello impigliato a un maglione mentre gli disfaceva la valigia. Ora non ricordo di che colore fosse questo capello, ma sicuramente di un colore diverso da quello dei capelli di lei. E quella volta, ricordo bene, non mi aveva colpito il fatto che il mio capo fosse stato colto in flagrante da sua moglie, quanto il fatto che non si facesse e disfacesse la valigia da solo.

“Mia moglie è bionda” prosegue il mio collega “riccia e trova questo capello lungo liscio nero. Me lo presenta davanti agli occhi come un coltello e mi chiede a bruciapelo questo di chi è? Io non ho mai avuto un’amante” dice il mio collega, “mai avuto una storia, ma all’improvviso con mia moglie davanti che brandisce minacciosa questo capello scopro di essere arrivato a un capolinea, la misura è colma, non ne posso più, ne ho le palle piene di noi due. Allora dico "Monica". M’invento un nome, pronuncio il primo che mi viene in mente. Non dico altro. Mia moglie con quel nome sembra avere capito tutto. E’ quello che voleva sentirsi dire visto che le cose tra noi non andavano.”

“Ma allora quel capello di chi era?” gli chiedo incredulo.
“Ecchennesò” risponde lui.
“E adesso?” insisto io.
“Adesso mia moglie è convinta che io abbia un’amante o che l’abbia avuta. Magari si sente più in diritto di farsene uno pure lei.”
“E non siete più tornati sull’argomento?” chiedo, perché a me ancora qualcosa sfugge.
“No, mai più detto niente”.

Mi si deve leggere in faccia la perplessità più assoluta. Non so se fidarmi di lui, ma voglio credergli.

“Scommetto che mia moglie si vede con uno pelato che non lascia capelli in giro” dice e non riesco a capire se il suo tono sia indifferente o irrimediabilmente affranto.

“Ora cosa fai?” gli chiedo.
Mi guarda senza vedermi, distratto per qualche secondo da un altro pensiero e mi dice:
“Cerco questa Monica con i capelli lunghi lisci e neri”.