mercoledì 30 novembre 2011

Mi piace fare questo gioco

Mi piace fare questo gioco. Mi metto in un angolo della piazza o in fondo a una delle vie del centro. Resto in piedi e aspetto. Do l’impressione di attendere qualcuno, ma in realtà lo faccio di mia spontanea iniziativa, mica perché io abbia un appuntamento.
A volte dopo una buona mezz’ora, altre volte giusto dopo dieci minuti che sono lì fermo ad aspettare, arriva un'amica, un amico, un conoscente, un compagno di classe delle superiori e mi dice ciao, cosa fai qui?

Ti aspettavo, gli rispondo.


Il signor Tibor Fried

Il signor Tibor Fried mi faceva foto sbiadite che mi consegnava felice il giorno seguente. Per lui era naturale immortalare qualsiasi persona conoscesse e fargli dono della foto, come a suggellare una relazione duratura. Il risultato era un mix dovuto alla sua mano un po’ tremante, alla pellicola vecchia di decenni e ad acidi per lo sviluppo troppo diluiti o scaduti da chissà quando. Così, anche se fresca di un giorno, la foto aveva i colori di una stampa dimenticata al sole per un’estate intera.
Quella che conservo mi ritrae immobile vicino a una roulotte da campeggio che il nostro agente ungherese usava in fiera. Con vestiti invernali dove si intuisce a malapena il blu della giacca e meno il colore dei pantaloni. La mia faccia senza lineamenti, l’espressione indecifrabile, la luce soffusa nonostante fosse pieno giorno. Tutto questo rende ancora più improbabile che possa essere io la persona ad essere fotografata, che abbia conosciuto il signor Fried e sia stato in primavera a Budapest alla fiera campionaria.

Amsterdam

La fitta rete delle tracce lasciate dagli aerei appena decollati sul cielo di Amsterdam mi ricorda – Agostino – le partite di Shangai che facevamo nella penombra della tua camera.
Allora ero geloso degli sguardi rapiti che avevi per mia sorella e della tua abilità nello sbrogliare l’intrico di bacchetti bianchi sul tavolo. Ma era il tuo modo estasiato di vedere il mondo, la tua sconfinata calma nel giocare con noi bambini ad affascinarmi. Era qualcosa che da adulto avrei voluto avere.
Ora non ci sei più. Nessuno gioca più a Shangai. Le tracce degli aerei sul cielo di Amsterdam svaniscono riassorbite dall’azzurro.

Janusz va al mercato

Janusz va al mercato di Varsavia il sabato mattina. Lo decide già la sera del venerdì, tornando a casa dal lavoro mentre guida, fermo in lunghe colonne di traffico. È un pensiero che gli affiora da solo alla mente e non ha nemmeno bisogno di pensarci: decide che la mattina dopo va al mercato e per pochi soldi compra un piccione. Non spende mai la stessa cifra. In fondo sono diversi anche i piccioni che compra. Lo sceglie e indica al venditore quello che vuole. Prima paga, poi rimette in tasca il portafoglio. Prende il piccione e si allontana fino all’angolo della piazza. Sale su un marciapiede. Quindi libera il piccione e lo segue con lo sguardo fino a quando non scompare dietro le case.
Janusz dice che fa questo perché gli piace e perché lui a casa sua non ha piccioni.

Ogni volta che lo incontro

Ogni volta che lo incontro mi chiama con un nome diverso. Abita dalle mie parti e se lo incrocio di ritorno dal centro mi saluta sempre volentieri. Ha l’aria di uno indaffarato, una cartella in mano di quelle scure, leggere, una sporta della spesa, un paio di libri.
Tempo fa gli ho prestato una grammatica di lingua russa, il Pulkina breve. Mi sono ripromesso di ricordarglielo e di richiedergli indietro il libro, ma alla fine ho lasciato perdere. Penso che lui non si ricordi e anche se si ricordasse non mi sembrerebbe il caso di chiederglielo. E’ un libro che in fondo non leggerei più.
Lui ogni volta mi chiama con un nome diverso, non ha importanza quale. Probabilmente lui stesso non se lo ricorda. Forse si aspetta che io lo corregga, ma non lo correggo.
Ora che ci penso qualche anno fa mi ha chiesto di fargli una telefonata a Pietroburgo. Mi ha accompagnato in un appartamento vicino alla stazione, ha composto il numero che aveva scritto su un biglietto spiegazzato e mi ha chiesto di salutargli una ragazza. Ma quel numero di telefono suonava a vuoto.  Nonostante vari tentativi, dall’altra parte non rispondeva nessuno.
Mi chiedo inutilmente se in seguito ha riprovato lui da solo.