sabato 24 novembre 2012

Alessio

Incontro Alessio in centro dopo qualche settimana che non lo vedevo. Non so perché ma inizia subito a parlare, come se riprendesse un discorso appena interrotto, dicendomi che ha smesso di consigliare libri, canzoni, album musicali, ristoranti, luoghi da vedere, bar dove andare a bere. Ha smesso di postare foto su internet, di inviare citazioni per email, di fare notare uno scorcio, una prospettiva, un paesaggio. Se qualcosa colpisce la sua attenzione se lo tiene per sè.

Mentre mi parla penso che lui in effetti è stato per anni il mio pusher musicale. Devo ammettere che grazie a lui ho ascoltato gruppi e autori ai quali non sarei mai arrivato da solo.

“Mica che io sia diventato apatico o indifferente” dice, “anzi: durante la giornata inciampo sempre in un dettaglio che mi colpisce. Lo sai che sto sempre con gli occhi aperti. Ho preso piuttosto l’abitudine di avere un dialogo con me stesso: se c'è qualcosa che mi sorprende, me ne chiedo il motivo. Per me è diventato un esercizio: a volte prevede delle soluzioni banali e altre invece non riesco a venirne a capo, non riesco a raccapezzarmi delle ragioni per cui questo o quel particolare mi abbia colpito. Può essere il gesto con cui una donna si sistema i capelli. Un albero, una nuvola, un giornale per terra, una bicicletta chiusa a un palo. Una frase colta al volo. Un suono. Può essere il movimento incongruo fatto da una persona mentre passeggia sovrappensiero. La battuta di uno sconosciuto.”

“Va bene,” gli rispondo approfittando di una pausa imprevista. “Lo so che si cambia, è inevitabile. Ma lascia che te lo dica: si cambia pure restando incorreggibilmente uguali a sé stessi. E tu, caro Alessio, resti un grande attaccapezze.”

sabato 17 novembre 2012

A casa di Laila

Siamo a casa di Laila, alcuni di noi seduti attorno all’enorme tavolo in marmo della veranda altri a zonzo. Sul tavolo ci sono due vassoi di pasticcini che ha portato Grazia e la crostata appena sfornata dalla padrona di casa.

Mi siedo su una panca in posizione centrale, spalle alla vetrata che dà sul laboratorio di falegnameria. Nessuna possibilità di muovermi. Per il momento non m’interessa fare il giro della casa, vedere il giardino, l’orto, il retro, la micia che ha partorito di recente una nidiata di gattini. M’ingozzo di dolci, pasticcini e crostata, uno dietro l’altro senza contarli, compulsivo.

Alcuni amici sono fuori in cortile a giocare con il cane che va e viene da una piccola porta girevole aperta sulla parete di legno della veranda. Altri guardano estasiati la gatta con i suoi micini di appena una settimana. Allatta i cuccioli distesa su un cuscino dentro a uno scatolone di legno.

“Volete un gattino?” chiede Laila entusiasta rivolgendosi a me.
“No grazie” le rispondo, “sono sazio, ho già mangiato abbastanza”.

sabato 10 novembre 2012

Il ciglio

Fu un errore conoscersi, un errore che tento di ripetere
perchè solo il farnetico è certezza.

(Eugenio Montale, Pasqua senza week-end)



Sono seduti al tavolino del bar di fianco a me. Non ho niente da leggere, ho bevuto il mio caffè, non posso fare altro che guardarmi attorno e ascoltare.

“Posso fare una cosa?” chiede lei.
“Cosa?” risponde lui.
“E’ più forte di me” dice lei, “quando vedo un ciglio devo fare il gioco del desiderio”.
“Va bene” dice lui.

Avranno vent’anni. Direi che stanno assieme, ma chi può stabilirlo con certezza.
Lei delicatamente, con un movimento lento, prende il ciglio sul viso di lui con la punta del pollice e del medio a pinza. Non ha le unghie lunghe, ma riesce ad afferrare il ciglio al primo colpo. Lo deposita sul polpastrello dell’indice della mano destra. Lui mette il polpastrello del suo dito indice sopra quello di lei. Le due dita si comprimono una contro l’altra. Il ciglio resta schiacciato tra i due polpastrelli. Il mondo si ferma.

“Desiderio” dice lei guardandolo negli occhi.
Tre, forse quattro secondi di silenzio e lui dice “Fatto. Desiderio espresso”.

Distaccano le dita e il ciglio resta appiccicato al polpastrello di lui.
Lei ci rimane male, ha un aria delusa: “Mai una volta che resti attaccato alle mie dita” dice.

Lui sorride, sembra non dare peso alla cosa.

“Qual è il tuo desiderio?” chiede lui.
“Non si può dire” dice lei. “E il tuo?”
“Il mio desiderio” dice lui “è che si esaudisca il tuo”.

Lei spalanca gli occhi, sorride.

“Solo” dice lei “è che adesso avendolo rivelato mi sa che non si avvera nemmeno il tuo…”

sabato 3 novembre 2012

Janusz ha trascorso l'infanzia a Radosc

''Gli anni prima della scuola sono passati in un lampo,
proprio come quegli alberi davanti alla luna.''

(John Kennedy Toole, La bibbia al neon)


Janusz ha trascorso l’infanzia a Radosc. Dice che spesso sogna di passare in treno lentamente per la stazione di Radosc senza fermarsi.
Radosc in polacco significa gioia, felicità.