domenica 23 dicembre 2012

Il Signor Tibor Fried

Il signor Tibor Fried mi faceva foto sbiadite che mi consegnava felice il giorno seguente. Per lui era naturale immortalare qualsiasi persona conoscesse e fargli dono della foto, come a suggellare una relazione duratura.

Il risultato era un mix dovuto alla sua mano un po’ tremante, alla pellicola vecchia di decenni e agli acidi per lo sviluppo troppo diluiti o scaduti da chissà quando. Così, anche se fresca di un giorno, la foto aveva i colori di una stampa dimenticata al sole per un’estate intera.
Quella che conservo mi ritrae immobile vicino a una roulotte da campeggio che il nostro agente ungherese usava in fiera. Con vestiti invernali dove si intuisce a malapena il blu della giacca e meno il colore dei pantaloni. La mia faccia senza lineamenti, l’espressione indecifrabile, la luce soffusa nonostante fosse pieno giorno.

Tutto questo rende ancora più improbabile che possa essere io la persona ad essere fotografata, che abbia conosciuto il signor Fried e sia stato in primavera a Budapest alla fiera campionaria.

sabato 15 dicembre 2012

Approaching Copenhagen

Giudico un libro dal finale




“Giudico un libro dal finale, dalla conclusione” dice lei.

C'è una coppia seduta al tavolo di fianco a me in un ristorante semivuoto. In tutto ci sono due tavoli occupati, il loro e il mio. Sono solo. Arriva qualche rumore sordo dalla cucina. Nessuna musica di sottofondo a drammatizzare o alleggerire la scena. Fortunatamente non c’è nemmeno nessun televisore acceso a blaterare fatti di cronaca o partite di calcio già giocate.

Devono avere litigato. Lei ha un’aria tesa, gli occhi vicini alle lacrime. Lui, quasi di spalle rispetto a me, da quel poco che riesco a vedere e a capire mi sembra impassibile.

“A me non piacciono i libri che finiscono con una conclusione” dice lui.

Silenzio.

"L’unica conclusione che conosco è la morte", prosegue lui dopo una pausa che mi è sembrata infinita,  "per questo preferisco le storie a finale aperto, che restano in sospeso. Non credo nemmeno nel lieto fine che vedi in molti film: il lieto fine è comunque qualcosa di provvisorio, di temporaneo”.


D’istinto vorrei consolare lei. Ma non posso che dare ragione a lui. Potessi intervenire direi provocatorio che tutti i film mielosi o le commedie sentimentali finiscono proprio nel momento in cui i due si ritrovano, si mettono assieme, si sposano: chiudono lì, non ti fanno vedere il seguito. “E vissero felici e contenti” è sempre una chiusura fittizia, momentanea, illusoria. Parliamoci chiaro: non c’è niente che finisce, niente che si conclude. Quando si arriva a un apice di felicità il film termina sbrigativo e mettono i titoli di coda.

Li guardo e mi chiedo a che punto sono della loro storia, del loro film. E così, senza farmi altre domande entro in scena: mi alzo dal tavolo, mi avvicino a loro e dico: “Chiedo scusa, non mi piace cenare da solo, posso sedermi qui con voi?”.

sabato 1 dicembre 2012

da Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi

La stanza tra le barche fu schiarita dalla luna salita sulla prua di fronte. Ci staccammo, le labbra intorpidite. La via verso le case fu alla cieca, perdendola affiancati. A un bivio ci separammo, sciogliendoci le mani senza necessità di altro saluto. Eva e lo sposo suo, usciti dal giardino, avevano già avuto tutto il bene del mondo. La vita aggiunta dopo, lontano da quel posto, è stata una divagazione.

(Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi)