venerdì 13 gennaio 2012

Il signor Slotwinski - I

Il Signor Slotwinski mi accompagna alla stazione ferroviaria di Kederzin-Kozle dopo avere trascorso assieme una lunga giornata di lavoro. Ha l’aria stanca e non riesce a nascondermi un sottile disappunto. Immagino per il fatto che nonostante il nostro incontro sia stato cordiale, ci siamo trovati in disaccordo su diversi punti.
Mi chiede se voglio acquistare un biglietto di prima o di seconda classe. Gli dico che in mancanza della terza classe va bene la seconda e gli spiego che è una frase di Albert Schweitzer. Il Signor Slotwinski mi osserva da dietro gli occhiali con un accenno di domanda nello sguardo. Forse non ha capito. Gli ripeto che la seconda classe va bene.
La stazione ferroviaria di Kederzin-Kozle esprime lo squallore in tutte le forme possibili: gli scalini di accesso mangiati dal tempo e dall’incuria, un sottopassaggio illuminato da neon che diffondono una desolante luce gialla, cartacce sul pavimento, colori grigi e freddi ovunque. Poche persone in giro, tutte avvolte negli abiti invernali, con berretti di lana calati fino agli occhi per il freddo pungente. Sembrano fagotti informi.
La signora alla cassa mi passa svogliatamente un biglietto per Cracovia. Non apre bocca. Il signor Slotwinski assiste senza imbarazzo alla scena, non prende posizione sulla scortesia della bigliettaia. Aggiungo l’atteggiamento della signora dietro al vetro alla serie dei dettagli squallidi di questa stazione di provincia e mi dico che questo forse è il più trascurabile. Prometto al signor Slotwinski che resteremo in contatto, che sarò disponibile ogni volta lui abbia bisogno, ma ci congediamo con una breve stretta di mano che mi dà la netta sensazione che non ci rivedremo più.
Cerco il binario da solo. Salgo gli scalini che portano alla piattaforma numero 2.
Intorno alla stazione è buio pesto. In lontananza si intravedono edifici poco illuminati. Non riesco a capire se si tratta di fabbriche o palazzi. Sopra il cornicione della stazione c’è un’enorme orologio e termometro digitale che segna alternativamente le 15.50 e cinque gradi sotto zero, ma sembra notte fonda. Mi stringo nel cappotto per il freddo. Cammino avanti e indietro lungo il marciapiede per scaldarmi i piedi.

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