I signori seduti al Caffè Roma la domenica mattina. Distratti dalle biciclette che passano, concentrati sull’orologio della torre che indugia sulle dieci. Assorti in un invisibile volo di colombi. Uomini che si riparano dal sole con le pagine del giornale, che attendono col sigaro spento in bocca, in maniche di camicia, gli occhi leggermente socchiusi. Turisti raccolti in un sottile sforzo di immedesimazione nella parte di chi è da sempre del posto e indigeni che si sentono turisti. Signori che aspettano qualcuno, impazienti, indecisi sull’ordinazione, puntuali, impeccabili nel guardare l'orologio. Signori dallo sguardo beatamente smarrito, libero da qualsiasi appiglio. Signori che fissano la cravatta del vicino, le gambe di una donna. Tazzine di caffè che si raffreddano, cappuccini dalla schiuma traboccante, brioches, succhi di frutta, paste pronte per essere divorate, briciole che cadono dalla bocca dei bambini.
Anch'io sono seduto al bar. Leggo a fatica un giornale, già oppresso dal caldo. Il cameriere si aggira tra i tavoli. Non ci sono molte persone a sedere: ne approfitta per scambiare due chiacchiere con qualche conoscente, sul tempo, sull'ultima partita, su vecchi clienti che non si vedono più, rimasti a casa o dispersi in chissà quale altra località turistica.
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