“Sopra il tetto s’affaccia una nuvola grandiosa”
(Eugenio Montale, Ora sia il tuo passo, Ossi di seppia)
Mi siedo su una panchina della piazza. A giudicare dalla posizione del sole sul tetto del palazzo di fronte mi resta sì e no un’ora prima che l’ombra mi raggiunga.
Al mio fianco è seduto un ragazzo vestito di nero. Potrebbe essere un impiegato della banca qui vicino. Legge un quotidiano, una pagina sul Kosovo.
Ho gli occhiali da sole. Stendo le gambe e cerco una posizione comoda. Di fronte, a una decina di passi, sono sedute tre ragazze. Studentesse. Alla mia sinistra, su un’altra panchina, due signore distinte parlano serrato di non so cosa. Passano mamme con bambini sul passeggino.
Chiudo gli occhi e ascolto le voci, il brusio di sottofondo. Quando li riapro il ragazzo che era al mio fianco non c’è più. Resto solo sulla panchina. Richiudo gli occhi. Due ragazze alle mie spalle parlano di corsi di lingua e allo slovacco alternano mezze frasi in francese e in spagnolo. Ho notato venendo in piazza dei manifesti dedicati alla scuola di francese di Bratislava: Portes ouvertes à l’ècole de Française. Non riesco a seguirle, quello che dicono non mi interessa. Preferisco ascoltare il brusio indistinto di voci e suoni di sottofondo.
Uno scossone alla panchina mi fa riaprire gli occhi. A una spanna da me si è seduta una ragazza in maglietta bianca a maniche corte. Le noto il seno e mi accorgo del suo ragazzo seduto al suo fianco che le tiene un braccio attorno al collo e parla al cellulare. Non mi sposto anche se le sono così vicino. Riapro gli occhi. È proprio carina. Di quello che dice il suo ragazzo al telefono intuisco solo qualche parola: sta fissando un appuntamento per la serata.
Leggermente indolenzito cambio la posizione delle gambe accavallandole. Due ragazze giapponesi mi si piazzano di fronte. Una delle due cerca di farsi fotografare dall’amica mentre salta a mezz’aria, come se stesse saltando su un materasso. L’amica guarda la foto sulla macchina digitale e le fa capire che non è venuta bene. La scena si ripete quattro o cinque volte. Ogni volta entrambe guardano il display, ma la foto non viene, occorre rifare.
La ragazza che salta lo fa in maniera disarticolata, come se gambe e braccia fossero di legno. Tra una foto e l’altra si guarda intorno e ho l’impressione che getti un’occhiata anche a me.
Un brandello di nuvola ha coperto il sole prima che scendesse dietro i tetti.
Qualcuno ha lasciato forse di proposito un vecchio libro squinternato sulla panchina di fianco.
Mi alzo, deciso a fare due passi.
Nessun commento:
Posta un commento