sabato 8 settembre 2012

Jack, il pinguino e io

Jack, mentre andiamo in macchina da un cliente, mi racconta del documentario sui pinguini che ha visto ieri sera. Il pinguino maschio passa l’intero inverno a covare, immobile al freddo, sotto bufere di neve e vento sferzante, mentre la pinguina se ne va in giro a nuotare e a caccia.
“Cavolo” dice Jack “quel povero fottuto pinguino tutto il tempo fermo sotto le intemperie…”

Ascolto e non ascolto Jack. Ho la testa altrove. In più non è facile seguire il suo scozzese stretto. Fuori dal parabrezza mentre andiamo a qualcosa come cento miglia all’ora scorre il paesaggio a nord di Dundee, insolitamente squallido per essere in Scozia. Piove, il cielo uniformemente grigio sfuma in nebbia all’orizzonte, ma penso che questo sia niente in confronto all’Antartide.

“Questo fottuto pinguino” continua Jack non accorgendosi che ho perso il filo “se ne resta fermo come un coglione con quest uovo sotto la pancia”.

L’immagine del pinguino ce l’ho ben chiara davanti agli occhi anche se non ho visto il documentario. Solo il pensiero di restare immobile mentre imperversa una bufera mi fa raggelare. Mi viene in mente la neve che ho visto a Riga in Lettonia a fine marzo, mentre in ufficio al caldo cercavo di dirimere un contenzioso tra un cliente e un mio collega tedesco. Nevicava con un vento forte. I fiocchi sfrecciavano davanti alla finestra in orizzontale senza nessuna possibilità di cadere a terra. Per questo povero pinguino, lui in mezzo a una caterva di suoi simili, dev’essere uguale: giorni e notti all’addiaccio con la neve sparata dritto negli occhi.

Annuisco a Jack, pur non seguendolo da un minuto abbondante e non sapendo bene se mi riferisco a quella del pinguino o alla nostra gli rispondo riprendendo le sue ultime parole: “fucking life”.

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