venerdì 27 aprile 2012

Non lo vedevo da una vita

Non lo vedevo da una vita. Forse di più. E visto che per me era troppo tempo mi sono deciso a chiamarlo.
Lo chiamo per sapere come vive, cosa fa, e questi dieci anni per lui non sembrano trascorsi. Salvo il fatto che ha viaggiato, visitato paesi nuovi e ora parla o dice di parlare quattro o cinque lingue in più. Gli credo.
Ci diamo appuntamento in un caffè del centro. Mi regala subito il suo nuovo libro prima ancora che la cameriera si presenti al nostro tavolo per prendere l’ordinazione. Apre il libro per scrivermi una dedica e resta assorto qualche secondo non sapendo bene cosa scrivere.
Gli dico che è lo stesso, non importa. Pure a me non viene in mente niente: è passato tanto tempo.
Parla solo lui. Parla di sé. Non occorre che gli faccia domande. Mi dice che i dialetti della Bosnia e del Montenegro hanno alcune parole uguali mentre altre sono assolutamente dissimili. Mi fa diversi esempi, oscuri grovigli di consonanti impronunciabili.
Tornato a casa mi sdraio sul divano e leggo il libro. È una raccolta di poesie su cavalieri e sovrani in lotta per spartirsi il territorio di antiche regioni dai nomi sconosciuti: la Livonia, l’Ingria, la Lusazia. Cori che invocano eroi epici dalla vita breve, effimera come le estati del nord. Alcuni passaggi del libro mi fanno pensare a un testo sognato in una lingua inesistente e da questa fedelmente tradotto. 
Mentre leggo mi chiedo se tra dieci anni avrò di nuovo voglia di chiamarlo.

Nessun commento:

Posta un commento