Quando studiavo – dice lei - mentre ero all’università, pensavo che da grande avrei viaggiato molto. Tu sei fuori spesso per lavoro, vero? Pensavo, anche se vagamente, che avrei fatto un lavoro come il tuo. Nel senso che non sapevo bene che lavoro avrei voluto fare, ma sicuramente immaginavo un lavoro in cui avrei viaggiato molto.
Guarda che sei ancora in tempo – le dice lui accennando un sorriso.
Ma adesso non ne ho voglia - dice lei - non so. Non ci penso. Non è qualcosa che mi manca, o che vorrei fare.
Io non mi sono ancora stancato di viaggiare – dice lui - ma ti assicuro che più passa il tempo, più viaggio e più i luoghi si assomigliano. Gli aeroporti, le piazze delle città dove i turisti ammazzano il tempo, i palazzi visti dai taxi o dalle finestre di un albergo. E’ impressionante, credimi, quanto il mondo si assomigli.
Lei ora non dice niente. Sembra pensare.
Sai una cosa? - continua lui - mi capita di pensare a questo: se faccio un conto rapido, approssimativo, penso di avere preso un duemila aerei fino ad ora. E’ semplice: due, tre viaggi al mese, quasi sempre con uno scalo intermedio, fa almeno un dieci aerei al mese. Se tolgo le ferie del periodo estivo e Natale, calcolo dieci mesi. Cento aerei all’anno. Faccio questo lavoro da vent’anni ormai, quindi non credo di sbagliare più di tanto. Ma non è questo che volevo dire. Mi capita di pensare che per tutto questo tempo sono stato io ad andare in giro, a visitare clienti, a incontrare gente, a frequentare fiere, a fare vedere la mia faccia a persone più o meno interessate, più o meno prese da quello che avevo da dire o da presentare. Certo, si tratta di lavoro, quindi con tutte queste persone che ho incontrato e che continuo a incontrare mi limito ad un rapporto formale. Raramente entriamo in dettagli che riguardano la propria vita, i propri gusti, quello che uno pensa veramente. E adesso mi ritrovo a pensare a questo: che ad un certo punto mi piacerebbe smettere di girare e vorrei che fossero gli altri a venire da me. Un po’ come nel tuo caso.
Cioè? – chiede lei.
Tu sei qui, in questo albergo, in questo quartiere, in questa città di provincia. Non hai bisogno di viaggiare per lavorare. Sono gli altri che vengono da te a fare vedere la loro faccia – dice lui.
Beh, si, ho capito, ma non credere che questo sia entusiasmante – dice lei. Poi lei si accorge che gli occhi di lui hanno un’espressione vagamente offesa. Certo – continua lei con un tono ironico - a parte poche, pochissime persone, non è che io faccia grandi incontri.
Lui vorrebbe chiederle se è tra questi pochi-pochissimi, ma non lo dice, anche se questa domanda probabilmente lei la coglie dal suo sguardo.
Mettiamola così - dice lei: tu sei una persona che gira il mondo, mentre io sono una persona a cui il mondo gira intorno. Il quadro forse non cambia, nel senso che entrambi abbiamo la possibilità di fare incontri, di conoscere anche solo superficialmente persone noiose, più o meno interessanti o che ci lasciano indifferenti.
L’unica differenza forse – dice lui - è lo sbattimento per chi viaggia: l’autostrada, le attese in aeroporto, gli aerei, i treni, i taxi, le strade provinciali, gli autogrill, le catene commerciali, gli alberghi…
Gli alberghi di provincia… - dice lei sorridendo - guarda che se preferisci altri alberghi non mi offendo sai?
Un posto vale l’altro – dice lui, ma non si capisce cosa voglia intendere e in definitiva appena pronunciata gli sembra di aver detto una frase fuori luogo.
Bene – dice lui dopo qualche secondo di silenzio - anche se ti ho detto che girando il mondo alla fine è tutto uguale, non è vero che un posto vale l’altro, non è proprio così, credimi.
In questo momento arriva qualcuno alla reception dell’albergo, è una coppia di turisti americani.
Hai ragione - dice lei - gli americani per esempio vanno pazzi per quest’albergo, abbiamo diversi ospiti fissi, molti tornano qui anche a distanza di anni e non se ne andrebbero mai.
Mi sento un po’ americano sai? dice lui. Un giorno – continua lui prendendo il trolley prima di incamminarsi verso l'ascensore - ti dico una cosa sul fatto di sentirmi americano.
Dimmela adesso dai - lo incalza lei incuriosita.
No, ora hai questi clienti - dice lui. Se me ne dimentico ricordami solo che ha a che fare con il latte: io che mi sento americano e il latte.
Lei è incuriosita, ma è costretta a salutarlo: la coppia di turisti americani ha raggiunto la reception.
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