Al bar sotto i portici del palazzo vicino alla stazione. Le due bariste dietro al banco parlano tranquille, una spolverando a caso attrezzi e ripiani, l'altra giocando con una spugna, torcendola e sbattendola sul palmo della mano. Io, l'unico cliente, chiedo un gelato panna e cioccolato e siedo un po' in disparte, con gli occhi puntati verso l'esterno. Scorrono davanti alla vetrina innumerevoli persone, tutte con passo frettoloso. Vanno e vengono dalla stazione. Qualcuno getta un’occhiata dentro attraverso la porta spalancata o il vetro della vetrina tra scritte colorate e insegne luminose. Qualcuno getta due occhiate. Sembrano studenti, uomini d'affari, impiegati e sfaccendati che sfilano e scompaiono oltre l'esiguo riquadro del bar.
“Poi non l'ho mica comprato” dice la barista bionda all’altra, “è di un colore che non mi convince. Rosso, ma non proprio rosso”.
Ha una voce squillante, cantilenante, un forte accento dialettale, difficile non ascoltarla. “Che colore?” chiede l'altra per cortesia, vagamente interessata.
In questo istante termina una languida canzone alla radio, casuale ma adeguato sottofondo, per cedere il posto ad una voce maschile che in scioltezza, come di regola, aggiorna sulle guerre, stragi, attentati, previsioni del tempo e disco della settimana.
Le bariste incuranti continuano la loro discussione: “Un rosso opaco, strano, forse adatto per la sera...”.
“Ruggine?” chiede la barista dai capelli castani, leggermente tarchiata, smettendo di strofinare, forse davvero intenzionata ad avere una risposta più precisa.
“Rosso...” continua la bionda, sempre con aria vaga, quindi esce da dietro il bancone del bar, passa davanti a me e si avvicina alla vetrina delle caramelle. Guarda attentamente i pacchetti, finalmente ne prende uno tutto ricoperto di pallini colorati, indica con l'indice un minuscolo pallino: “Questo” dice apatica, “questo qui”.
La gente fuori continua a passare.
Resto per qualche momento imbambolato, con la carta del gelato in mano, come stordito dalla scena. Mi alzo dalla sedia, vado alla cassa. La barista castana mi guarda benevola: “Gelato e spettacolo fanno due euro”.
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