Incontro Alessio in centro dopo qualche settimana che non lo vedevo. Non so perché ma inizia subito a parlare, come se riprendesse un discorso appena interrotto, dicendomi che ha smesso di consigliare libri, canzoni, album musicali, ristoranti, luoghi da vedere, bar dove andare a bere. Ha smesso di postare foto su internet, di inviare citazioni per email, di fare notare uno scorcio, una prospettiva, un paesaggio. Se qualcosa colpisce la sua attenzione se lo tiene per sè.
Mentre mi parla penso che lui in effetti è stato per anni il mio pusher musicale. Devo ammettere che grazie a lui ho ascoltato gruppi e autori ai quali non sarei mai arrivato da solo.
“Mica che io sia diventato apatico o indifferente” dice, “anzi: durante la giornata inciampo sempre in un dettaglio che mi colpisce. Lo sai che sto sempre con gli occhi aperti. Ho preso piuttosto l’abitudine di avere un dialogo con me stesso: se c'è qualcosa che mi sorprende, me ne chiedo il motivo. Per me è diventato un esercizio: a volte prevede delle soluzioni banali e altre invece non riesco a venirne a capo, non riesco a raccapezzarmi delle ragioni per cui questo o quel particolare mi abbia colpito. Può essere il gesto con cui una donna si sistema i capelli. Un albero, una nuvola, un giornale per terra, una bicicletta chiusa a un palo. Una frase colta al volo. Un suono. Può essere il movimento incongruo fatto da una persona mentre passeggia sovrappensiero. La battuta di uno sconosciuto.”
“Va bene,” gli rispondo approfittando di una pausa imprevista. “Lo so che si cambia, è inevitabile. Ma lascia che te lo dica: si cambia pure restando incorreggibilmente uguali a sé stessi. E tu, caro Alessio, resti un grande attaccapezze.”
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